Page 11 - Il Canto degli Alberi
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Il faggio
Mi ha sempre impressionato la tenacia
con cui il faggio tiene strette le sue foglie.
Quando tutto è spoglio da un pezzo
lui indossa ancora il suo manto appassito.
Le foglie diventano più chiare e più sottili ma
l’albero non le cede.
Ricordo che un mattino si levò un leggero e mite
alito di vento, un respiro solitario.
E a centinaia, a migliaia le foglie a lungo serbate
furono soffiate via in silenzio, leggere, docili,
stanche della loro tenacia, stanche della loro
caparbietà e del loro valore.
Ciò che per cinque, sei mesi aveva opposto una
strenua resistenza soccombeva in pochi
minuti, in un nulla.
Poi, in primavera, un giorno l’albero si trasformò,
perse il vecchio manto e al suo posto mise i nuovi
teneri germogli con le gemme umide.
Che cosa c’era in questo misterioso e commovente spettacolo?
C’era l’epifania dell’immenso e dell’eterno,
della coincidenza degli opposti, del loro fondersi nel fuoco della realtà.
Per lo spettatore era come un dono e una scoperta, come lo è un
orecchio colmo di Bach, un occhio colmo di Cezanne.