Page 7 - Il Canto degli Alberi
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Le opere di Anna:


                                      tenuità e poesia









                      Pretesto, per iniziare questa breve nota alla mostra, sarebbe ricordare un aneddoto
                  della Roma ottocentesca: l’accesa controversia nata tra la bella Gigia Trambusti
                  Benucci e Donna Teresa Orsini Doria per l’acquisto d’un…esotico “scialle turco”.
                  Un indumento preziosissimo che la Benucci aveva avuto l’ardire di sottrarre alla
                  Principessa, la quale se n’era innamorata, urtandone, così, la nota suscettibilità. E
                  doveva essere veramente bello, prezioso e femminile quello scialle – dagli esili colori
                  su un velo di lana, talmente sottile che poteva passare, come racconta il Silvagni, “per
                  entro un anello di signora” – da suscitare tanto scalpore nel bel mondo romano di ieri.
                      E la raffinata trasparenza, la delicatezza delle tinte e la tenuità di quello scialle, le

                  accostai, come per incanto, alle opere di Anna quando ho avuto occasione di vederle
                  per la prima volta. Già, tenuità, grazia e femminilità, doti determinanti per impreziosire
                  ancor più ogni forma d’arte con una nota di poesia e, perché no, di spiritualità. Le
                  ho ritrovate, come dicevo, in tutti i soggetti elaborati con tanta maestria da Anna,
                  siano essi disegni artistico-architettonici o pitture vere e proprie. Qualità specifiche
                  evidentissime, poi, negli alberi, soggetto prediletto in questa mostra, in cui si nota
                  oltremodo la mano sicura dell’architetto tutta tesa a renderli più vivi e carezzevoli
                  ad ogni sguardo. Le svelano: i faggi dai racemi scarni e fragili come un ricamo in seta
                  in controluce; i castagni doviziosi di frutti; i peschi in rigogliosa fioritura; i tigli dal

                  tenero e cristallino fogliame; il glicine con i fiori in grappoli penduli, emanante un
                  virtuale profumo intenso e gradevole.


                      Una quiete interiore pervade chiunque nell’osservare questo piccolo ed ubertoso
                  Eden miniato. Tutto sembra accoglierci in una rifocillante “frescura” spirituale fatta di
                  pace e di un silenzio interrotto solo dai fruscii delle foglie e dai cinguettii degli uccelli
                  in festa.


                      Ed in quest’amena “solitudine” di colori, intrisa di odori di zolle tronfie di vita e di
                  essenze disciolte nell’aria, ben suona la risposta di Hesse, nella sua Favola d’amore,
                  inerente all’angosciosa ricerca della felicità interiore:

                      “La felicità? – disse il bell’uccello e rise con il suo becco dorato – la felicità, amico,
                  è ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli” .


                                                                                Prof. Alberto Crielesi
                                                                                Storico dell’Arte
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